E nessuno si accorse che mancava una stella by Antonio Debenedetti

E nessuno si accorse che mancava una stella by Antonio Debenedetti

autore:Antonio Debenedetti [Debenedetti, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2010-07-15T00:00:00+00:00


Lettera da un luogo segregato

Senza data

A trattenermi furono il verde e il blu d’un lampo che, mutandosi in tuono, rotolò sulla magnolia, quindi entrò fra quelle mura spoglie dando voce al tempo e all’immobilità del vecchio padiglione.

«Gli echi, qui dentro, hanno un suono spento. Non si concludono suscitando, in chi ascolta, l’impressione d’un punto esclamativo nel silenzio» avrebbe voluto essere il mio commento. Obbedendo alla disciplina del giornalista, che dice quel che conviene e non quello che potrebbe dare finalmente espressione alla sua anima, mi limitai però a osservare, senza rivolgermi a nessuno in particolare: «Speriamo che la pioggia porti un po’ di fresco!»

«Me lo auguro anch’io» rispose una voce prosciugata da un’ansia che sembrava succhiarne ogni coloritura calda o affettuosa. Fu proprio l’ansia, dunque, a annunciarmi quella creatura prima ancora che ne conoscessi il volto. Seguì qualche parola di generica cortesia. E finalmente, uscendo da un’incerta semiluce e prendendo corpo dal piatto biancore d’una parete, una figura dai contorni ancora incerti si fece avanti: «Mi chiamo Elvira. Sono qui da cinque anni!»

Una suora, più veloce d’una rondine in volo radente, ha tagliato diagonalmente il corridoio. Che cosa servirebbe, Paola mia, descriverti la luce lattea, riferirti l’impressione del suo piovere in fasci ampi, lenti, dai finestroni come in una pittura dell’ultimo verismo lombardo? Frattanto gli odori, che credo tu immagini, erano quelli cagliati e raffermi di qualunque clausura.

«Le piacciono, signore, i nostri alberi?» mi ha chiesto Elvira, schiarendosi la voce per darle forza e suono sufficienti a farsi udire.

Frattanto un rumore indecifrabile e scenografico, che avrebbe potuto essere anche un grido o il ruzzolare d’una sedia, è venuto da una stanza in fondo a uno dei tanti corridoi. Chissà quale, chissà dove. Tanto che il pensiero di quella lontananza, la consapevolezza di quel luogo labirintico si sono impossessate per un attimo di me, dei miei pensieri. Per riappropriarmi di me stesso, mi sono affrettato a rilevare: «Sarà stato un altro tuono, forse più lontano. Ancora non riesce a piovere.»

«No, signore, non è così. Io so, io so…»

Se chiudo gli occhi, anche per un solo attimo, torno a rivedere quella creatura. Una creatura del dolore in cui non riesco a ravvisare una donna, con il suo diritto alla vita. Agli alti e bassi della vita.

«È buffo, anche se non credo che buffo sia la parola giusta. Tutti dicono che i nostri alberi sono così belli e noi siamo tanto fortunate ad averli. Fortunate, è proprio così che ci definiscono. Pensi!»

«Che pianta è quella laggiù, vicino alla magnolia?» ho chiesto per prendere tempo, rinviando di qualche po’ quella che pensavo sarebbe stata una rivelazione inquietante. «È vero, in ogni caso, Elvira: avete un giardino bellissimo. Non è d’accordo?»

«Non ci ho mai pensato. Non ho mai pensato, in questi termini, al nostro giardino e ai nostri alberi. Per me rappresentano qualcosa di diverso.»

Avevamo preso a camminare, inseguiti da un’assordante frastuono come qualcuno che battesse freneticamente le mani davanti a un amplificatore o facesse un fracasso indiavolato con un martello. Ho guardato con inquietudine, interrogativamente, la volta dell’andito dove adesso ci trovavamo.



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